Pere dall’Argentina, mele dalla Nuova Zelanda, vino dalla California, pomodori dalla Cina. Uno degli effetti più evidenti della globalizzazione è la grande disponibilità di prodotti alimentari provenienti da paesi lontanissimi. Non ci riferiamo ai tradizionali prodotti esotici che richiedono condizioni climatiche tropicali (banane, ananas, tè e caffè), ma a frutta, verdura, vino, latte, addirittura acqua minerale importati in Italia da altri paesi perché disponibili sul mercato internazionale a prezzi più convenienti. A pagare i costi di questo incessante traffico di merci da un continente all’altro è in primo luogo l’ambiente: sono anni ormai che la maggioranza degli esperti punta il dito sull’elevato consumo di combustibili fossili, che grande impiego trovano proprio nell’agrochimica e nei trasporti su lunga distanza. Un'altra conseguenza del cosiddetto libero mercato è la destabilizzazione dell’economia dei paesi (di tutti i paesi!), le cui aziende locali non riescono a fare concorrenza ai prodotti di largo consumo provenienti dall'estero. Non parliamo poi di qualità. Quale? Dei prodotti, del lavoro, della vita... fai tu; qui non ne parliamo perché il dubbio è dove sia. Insieme a lei ci sono la diversità e soprattutto la moralità. Come sempre, però, c'è una soluzione e forse anche più di una...!

L'economia della Felicità
Nel periodo dei premi nobel e durante la svendita di expo (guarda qui) tiriamo fuori dall'archivio un'intervista a Helena Norberg-Hodge, premio nobel alternativo e pioniera del movimento per il cibo locale. Già nel 2003 (ma anche prima) l'antropologa, considerata tra gli ambientalisti più influenti al mondo, ci comunicava che "la soluzione è nella localizzazione". Qualche anno più tardi è uscito il suo documentario "L'economia della felicità", dove ci racconta di un altro mondo possibile, di una strada da affrontare per uscire dalla crisi. Ve ne consigliamo la visione e intanto... buona lettura!


Consumare cibo locale. Sembra quasi un ritorno all'autarchia. Non è un controsenso in un'epoca di grandi scambi internazionali?
Consumare cibo locale non significa tornare all'auto-sufficienza alimentare, ma semplicemente mirare ad un equilibrio tra commercio e produzione locale, diversificando l'attività economica e accorciando, ogni volta che sia possibile, la distanza tra produttore e consumatore.

Quali sono a grandi linee i limiti dell'attuale globalizzazione alimentare?
La globalizzazione alimentare si basa su una teoria economica molto semplice: invece di produrre una varietà di cibi diversi, ogni nazione o regione è spinta a specializzarsi su uno o due tipi di produzioni alimentari, quelle che possono essere ottenute ad un costo tale da essere concorrenziale nei confronti di tutti gli altri produttori. In teoria questo sistema dovrebbe assicurare grandi benefici economici, in realtà si è dimostrata una delle maggiori cause di fame e di degrado ambientale.

Puoi spiegarne meglio i motivi?
L'ambiente ne ha risentito in modo particolare. La globalizzazione delle colture richiede la racconta centralizzata di enormi quantità di singoli raccolti e conduce alla creazione di immense monocolture. Queste a loro volta richiedono l'uso massiccio di pesticidi, diserbanti e fertilizzanti chimici. Tutte pratiche che portano all'eliminazione sistematica della biodiversità, all'erosione dei terreni, all'antropizzazione dei corsi d'acqua e all'avvelenamento degli ecosistemi circostanti. Dal momento che i prodotti del sistema globalizzato sono destinati a mercati lontani, il chilometraggio delle derrate alimentari è cresciuto tanto da rendere il trasporto di cibo uno dei maggiori fattori d'uso di combustibili fossili e del conseguente inquinamento ad emissione di gas.
[NOTA: nell'intervista originale Helena fa un esempio, ma essendo passati più di dieci anni non riteniamo opportuno riportarlo]

Questo fenomeno di concentrazione della produzione spesso è accompagnato da un vistoso declino della qualità...
"Prendemmo dell'acqua distillata, che normalmente
forma splendidi cristalli, e la riscaldammo per 15 sec
in un forno a microonde. Riuscimmo a scattare solo
immagini grottesche..." Masaru Emoto
dal libro "Il vero potere dell'acqua"
Sì, a causa della globalizzazione alimentare, la gente in tutto il mondo è indotta a consumare grosso modo lo stesso cibo. In questo modo le monocolture alimentari vanno a braccetto con una crescente monocoltura umana nella quale i gusti e le abitudini alimentari della gente vengono omogeneizzati. Ciò avviene, almeno in parte, attraverso la pubblicità che promuove cibi adatti alle monocolture, alle raccolte meccanizzate, al trasporto su lunghe distanze e alla lunga conservazione. Si sviluppano continuamente nuovi additivi e nuove tecniche per allungare la durata degli alimenti. Ad un consumatore sempre più frettoloso, le multinazionali forniscono cibi "comodi" che si possono rapidamente riscaldare nel forno a microonde. Per non parlare poi del valore nutrizionale degli alimenti che a causa degli elaborati sistemi di trasformazione e tempi di trasporto oggi risulta drasticamente ridotto. Gli alimenti di produzione locale sono invece più freschi e quindi più nutrienti. Hanno bisogno di meno conservanti o altri additivi e i metodi di coltivazione che seguono l'agricoltura naturale contribuiscono a eliminare i residui di pesticidi. Anche la sicurezza alimentare aumenterebbe se la gente facesse più ricorso agli alimenti locali, perché il controllo sugli alimenti sarebbe sparso e decentralizzato invece che in mano ad un pugno di multinazionali. E se i paesi del Sud del mondo fossero incoraggiati ad utilizzare la loro forza lavoro e le loro terre migliori per i consumi locali e non per coltivare prodotti di lusso per i mercati del Nord, diminuirebbe anche la fame endemica e la migrazione forzata.

pesticidi rischio fertilitàVisti tutti questi limiti perché la globalizzazione alimentare sta prendendo piede così rapidamente?
Anche coloro che ne riconoscono gli effetti negativi sono portati a credere che il sistema alimentare globalizzato sia necessario perché produce più cibo e lo distribuisce a un prezzo minore. In realtà, tale sistema non è più produttivo di quello localizzato, né tanto meno più economico. Studi condotti in tutto il mondo dimostrano che aziende agricole a produzione diversificata su piccola scala assicurano una produzione totale per unità di terreno maggiore delle monocolture su vasta scala. In realtà se la priorità fosse davvero quella di combattere la fame, il cambiamento verso i sistemi di produzione localizzati dovrebbe iniziare immediatamente dal momenti che essi sono molto più efficienti in tal senso. La produzione globalizzata è anche molto più costosa, anche se una larga parte del costo di produzione non si riflette nel suo prezzo finale. Una parte significativa del prezzo degli alimenti globalizzati è costituita da costi sociali "nascosti" che noi paghiamo attraverso le nostre tasse che vanno a finanziare la ricerca sui pesticidi e sulle biotecnologie, a sovvenzionare i trasporti, le comunicazioni e le infrastrutture energetiche che il sistema della globalizzazione richiede e a fornire ai paesi del terzo mondo quegli aiuti economici che trascinano le loro economie nella distruttività del sistema globalizzato. Senza considerare poi il costo dei guasti ambientali causati da un ristretto numero di multinazionali, ma sopportato da tutta la collettività. In realtà, quando acquistiamo cibo di produzione locale paghiamo di meno perché non paghiamo l'eccesso di trasporto, gli inutili imballaggi, la pubblicità e gli additivi chimici. La maggior parte dei nostri soldi non va a bubboniche multinazionali dell'alimentazione, ma ad agricoltori e a piccoli negozianti locali.

Ma cos'è esattamente un sistema alimentare localizzato?
L'alimento da economia localizzata è semplicemente un alimento prodotto per un consumo locale o regionale. Per questo motivo i chilometri percorsi dell'alimento sono relativamente pochi e questo riduce notevolmente l'uso di combustibili fossili e il conseguente inquinamento. Ci sono anche altri benefici ambientali. Il mercato localizzato dà agli agricoltori un incentivo a diversificare le produzioni, permettendo la creazioni di un gran numero di nicchie ecologiche occupate da piante selvatiche e specie animali nell'azienda agricola. Inoltre, una produzione diversificata non da spazio ai macchinari pesanti usati per la monocoltura eliminando in tal modo una delle cause principali dell'erosione del suolo. La diversificazione della produzione si presta particolarmente al metodo di coltivazione biologico (certificato o meno) e biodinamico (in permacultura, organico, ecc. - aggiungo io) perché i raccolti sono molto meno soggetti alle infestazioni di parassiti e alle malattie.

All'ultima domanda "Cosa si può fare per sostenere il cibo di produzione locale?" vorrei rispondessi tu. Helena conclude l'intervista parlando di deregolamentazione, di campagne informative, mercatini, sistemi di acquisto diretto presso gli agricoltori... Come riportato all'inizio di questo articolo, la soluzione proposta è la localizzazione, metterla in pratica - manifestarla - è anche dare spazio alla propria creatività creando rete, accorciando le distanze, saper dire no. È gratificante sapere che scegliendo soluzioni valide, per noi e per la nostra famiglia, contribuiamo realmente a preservare la biodiversità e la vita agricola, nonché quella dell'ambiente in tutto il mondo.