28 settembre 1959: nasce Winona LaDuke, attivista statunitense.
Figlia di un nativo americano delle tribù indiane del Minnesota e di una ebrea polacca immigrata, laureata ad Harvard in economia ma sempre residente nella riserva di White Earth, Winona fin da giovanissima è stata attiva per la tutela dei diritti della sua minoranza, cercando sempre di accompagnare le rivendicazioni con uno sguardo aperto al futuro. Nel 1989 dà vita a un movimento volto a fare pressione sul governo americano affinché riconsegnasse alle tribù indiane insediate a White Earth la porzione di territorio a loro spettante dagli accordi del 1867. La sua battaglia è stata parzialmente vinta e la terra indiana, ricca di risorse naturali, è tornata ai suoi legittimi proprietari. Negli anni ’90 si impegna in politica con il partito dei verdi; ora lavora a livello internazionale intorno alle questioni legate al rispetto dell’ambiente intuendo che la tutela delle popolazioni indigene va di pari passo con la salvaguardia ecologica del loro territorio.

il seguente articolo è stato pubblicato sul sito di Terra Madre il 9 febbraio 2012

Inda-wei mo-ga-na-tuk!

Ecco come si dice “ciao” nella mia lingua. Sto dicendo “ciao, famiglia”. Ciao, contadini. Siamo molto contenti di essere qui con voi, noi della nazione ojaway, che si trova nella parte centrale del Nord America, tra gli Stati Uniti e il Canada, dove viviamo da molto tempo prima dell’esistenza degli Stati Uniti e del Canada. Sono grata di poter essere qui, insieme con molte altre popolazioni indigene del Nord America, per parlare del rapporto che abbiamo con il nostro cibo.
Il Creatore ci ha dato il cibo. Ci ha donato il cibo come una medicina, e noi abbiamo un rapporto spirituale con questi doni del Creatore. Ci viene insegnato, inda-wei mo-ga-na-tuk, che essi sono la nostra famiglia, sia che abbiano ali sia che abbiano pinne, sia che abbiano zoccoli o zampe, o che abbiano radici. Fanno parte della nostra famiglia. Noi non siamo migliori di loro e la nostra vita dipende interamente dalla loro. È questo il tipo di rapporto che noi, in quanto Anishinaabe, in quanto popolazione indigena e in quanto contadini, affermiamo durante le nostre feste di Ringraziamento, durante le nostre cerimonie e quando lavoriamo la terra.

Cinquecento anni fa, un uomo chiamato Cristoforo Colombo partì da questo luogo. Arrivò nel nostro continente in cerca della cosa sbagliata. Egli cercava gli schiavi e cercava l’oro, ma è invece il cibo proveniente dalle Americhe la più grande ricchezza dell’umanità. Questo è il punto della nostra discussione. Ci siamo ritrovati e abbiamo scoperto che è il cibo ciò che ci unisce. Non importa se parliamo russo, non importa se siamo neri, rossi o bianchi, tutti quanti dobbiamo fare affidamento su di esso. Dalle nostre comunità giunse gran parte del cibo che vediamo qui oggi. Mais, pomodori, patate, cioccolato, arrivò tutto dalle Americhe, così come molte delle varietà di zucca e fagioli che vengono consumate ogni giorno in tutto il mondo. Siamo estremamente grati di far parte della tradizione agricola del mondo.

Il processo di colonizzazione ha avuto una forte influenza su tutte le nostre comunità, sia che siamo irlandesi, sia che proveniamo dal Kenya, dal Sudafrica, dalla Scozia, o che apparteniamo a popolazioni indigene delle Americhe. Il processo di colonizzazione ci ha allontanati dalla nostra terra, dai nostri insegnamenti, dalla nostra capacità di sostenere il modo di vivere che ci è proprio, si è impossessato delle nostre risorse, delle nostre ricchezze e delle nostre lingue. La politica di far terra bruciata, adottata negli ultimi secoli, viene oggi replicata in molti modi diversi nei sistemi militari di tutto il mondo ed è adottata da multinazionali come la Monsanto. Le nostre comunità nelle Americhe si stanno riappropriando dei propri semi e della propria terra. Io provengo da una riserva indiana del nord-ovest del Minnesota, dove oggi lottiamo per proteggere il nostro riso selvatico, che ci è stato donato dal Creatore – il nostro cibo più sacro.

Lottiamo per evitare che venga brevettato e per proteggerlo dalla modificazione genetica, e questa lotta, ci siamo accorti, ci unisce ai contadini di ogni altra parte del mondo. Noi sappiamo, come sapete voi, che le forme di vita non appartengono alle multinazionali – ma ci sono state date dal Creatore. E sappiamo anche, come sapete voi, che oggi una delle maggiori minacce a ogni forma di vita è la modificazione genetica, che ha le potenzialità per contaminare i nostri semi più antichi, le nostre più antiche parti della creazione. Sappiamo inoltre, come sapete voi, attraverso le parole di uno dei nostri contadini che è giunto qui con la nostra delegazione dalla nazione Dineh, che l’acqua è per il mais. L’acqua non è per le compagnie minerarie, non è destinata alla multinazionale Bechtel, non è destinata alla privatizzazione. L’acqua è per i membri della famiglia, sia che abbiano ali o che abbiano pinne, sia che abbiano due gambe o che abbiano radici. Terra Madre contribuisce al recupero di queste tradizioni. Siamo onorati di essere qui con i contadini e i mietitori di molte parti del mondo che si sono uniti per dire “Basta. Questo è troppo”.

Rimarremo sulla nostra terra, rimarremo accanto ai nostri fiumi, accanto ai nostri oceani, e urleremo “Non potete prenderci il nostro sangue”. E attraverso la pratica delle nostre preghiere, del nostro cibo, delle cerimonie e della fatica del nostro lavoro, recupereremo il rapporto con la nostra grande famiglia che constituisce il nostro cibo. E grazie a questa pratica– e all’impegno di oggi, – assicureremo alle nostre generazioni future, sette generazioni a partire da adesso, di avere cibo, di avere la terra e di poter continuare queste tradizioni che ci sostengono da generazioni.

Wi-guich-miu. Grazie di cuore per il vostro tempo.