Nel 2004 entrava in vigore in Italia un decreto (D.Lgs. 279/2004) che definiva il quadro normativo per la coesistenza tra colture geneticamente modificate, convenzionali (= prodotto alimentare che non contiene ogm, né è da essi derivato, né contiene ingredienti o derivati da ogm) e biologiche. L'UE dava al cittadino la possibilità di scegliere tra prodotti transgenici e non transgenici. Adottando il Piano di coesistenza, ogni regione e provincia autonoma avrebbe dovuto individuare, nel proprio territorio, delle aree da adibire ai vari tipi di colture. Quando nel settembre dello stesso anno la Comunità Europea autorizzò l'inserimento di 17 nuove varietà di mais transgenico (Mon 810) nel registro delle sementi, rendendo possibile la coltivazione delle stesse, in Italia, non essendoci una legislazione che regolamentasse l'impiego agricolo degli OGM, furono molte le regioni ad aderire alla coalizione Liberi da OGM e a prendere provvedimenti legislativi per impedire le coltivazioni transgeniche. Alcuni comuni cominciarono a dichiararsi OGM free.

C'è, inoltre, un altro tipo di contaminazione, quella orizzontale, più subdola, che si verifica nel momento in cui la pianta muore e i residui rimangono nel terreno: foglie, radici, fusti. I transgeni (quella parte di DNA che può contenere uno o più geni, che deve essere trasferita da un organismo all'altro) possono entrare in contatto con i batteri, i virus o i funghi che si trovano nel suolo e da essi introdursi in altri organismi no-target (= organismi cui non sono dirette le sperimentazioni). Questi ultimi, ignorando che siano stati contaminati, potrebbero essere ingeriti da animali e attraverso il latte, le uova o la carne passare all'uomo.
Assicurare, dunque, la coesistenza tra forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica assume particolare importanza quando il concetto deve essere applicato al settore della produzione di sementi. In questo campo, infatti, si corre il rischio che tollerando le soglie di contaminazione accidentale, anche molto basse, si possa, con il tempo, avere comunque colture convenzionali e biologiche con alti livelli di contaminazione.
Per biodiversità s'intende l'insieme delle risorse energetiche (piante e animali) disponibili in un certo territorio; quanto più sono numerose tali risorse tanto maggiori sono le possibilità di incroci e di produzione di nuovi esseri viventi con caratteristiche più o meno adattabili all'ambiente. La biodiversità è importante per la sopravvivenza di piante e animali che ci forniscono cibo e medicine, la biodiversità aiuta a mantenere importanti processi ecologici come la produzione di ossigeno, aiuta a preservare gli ecosistemi che una volta persi l'uomo non sarebbe in grado di rigenerare. In India, con la pratica degli incroci, i contadini hanno prodotto, nei secoli, circa duecentomila varietà diverse di riso, perfettamente adattabili ai vari tipi di habitat e climi presenti in questo paese [Vandana Shiva: Il bene comune della terra]. Le piante geneticamente modificate vanno, invece, nella direzione delle monoculture: estesi appezzamenti di terreno coltivati in tutto il mondo con poche specie di piante che attraverso la contaminazione orizzontale o verticale potrebbero minare i precari equilibri esistenti in un ecosistema. L'agricoltura industriale punta sull'uniformità delle coltivazioni, cioè su quelle poche culture che rispondono a quel tipo di diserbante. L'uniformità genetica che per le industrie agrochimiche sembra essere così vantaggiosa perché permette di ottenere un rendimento più elevato, rende particolarmente vulnerabili le piante selezionate. Le varietà dotate di un solo gene resistente possono più facilmente essere attaccate da parassiti, non previsti, che devono aggirare un unico fattore di difesa: "[...] i raccolti misti e la coltivazione di diverse varietà naturali, selezionate in funzione delle caratteristiche specifiche del microambiente, si rivelano più produttivi dell'uso di una o più varietà moderne" [Vandana Shiva: Il bene comune della terra].
In un territorio come quello italiano dove suscitano particolare interesse quei prodotti con determinati requisiti come l'appartenenza a una località, con la sua cultura e le sue tradizioni, e l'osservanza di un preciso disciplinare di produzione (Dop, Igt, Stg), dove il cibo è sinonimo, oltre che di gusto, anche di salute; ci si chiede quale sia l'utilità oltre che la necessità di introdurre alimenti geneticamente modificati.
Nel gennaio 2005, uscì un decreto (D.Lgs 5/2005) che legiferava sulla necessità di proteggere la biodiversità dell'ambiente naturale e la tipicità della produzione agroalimentare italiana. Degno di nota, in questo decreto, è l'eliminazione del termine entro il quale le regioni dovranno presentare i Pieni di coesistenza richiesti dal D.Lgs 279/2004. Sino all'emanazione dei Piani di coesistenza non sarà possibile seminare colture transgeniche in Italia [F.R. Fragale: Organismi geneticamente modificati. Tutela della salute umana e dell'ambiente. Analisi della normativa comunitaria e nazionale dalle origini alla coesistenza dei sistemi agricoli].