In occasione della Giornata internazionale della lotta contadina, oggi 17 aprile, e della Giornata della Terra domani 18 aprile, pubblichiamo la "Carta per il Rinascimento della Campagna e delle Libertà originarie e naturali dei contadini e dei popoli indigeni", stesa da Wendell Berry, Giannozzo Pucci, Vandana ShivaMaurizio Pallante a sostegno della Campagna Contadina (avviata a gennaio 2009). Questa di seguito è la presentazione di Vandana Shiva.

Anche se potete pensare che i nostri contadini indiani siano al sicuro nelle loro libertà, devo ricordare che le stesse leggi e politiche che hanno distrutto le basi su cui si reggevano i piccoli contadini in Italia, gli stessi processi sono stati avviati anche in India in questo periodo e i nostri sforzi e la nostra lotta è la stessa, per una medesima libertà.

Sono tre i processi coi quali le libertà dei contadini sono soffocate: il primo è il furto dei semi, la trasformazione dei semi in un prodotto industriale e attraverso questo in proprietà intellettuale di cinque società monopolistiche mondiali, per mezzo dell’ingegneria genetica e dei relativi brevetti. In Europa queste libertà sono state spazzate via senza che la gente se ne accorgesse. Ma quando in India hanno tentato di introdurre i brevetti sui semi o imporre la coltivazione di sementi registrate, facendo in modo che lo stato acquistasse il potere di dare il permesso al contadino di coltivare o meno un dato seme, abbiamo cominciato un grande movimento gandhiano che abbiamo chiamato il Satyagraha dei semi, un po’ come il Satyagraha del sale. Ricordate che quando gli inglesi decisero di istituire il monopolio del sale, Gandhi fece una marcia fino alla riva del mare e disse che avevamo bisogno del sale per la nostra sopravvivenza: la natura ce lo dà gratis, ci faremo il nostro sale e non permetteremo che farsi il sale diventi un reato. Ci siamo ispirati a quell’episodio e abbiamo detto: «La natura ci dà gratis la biodiversità e i nostri antenati da tempo immemorabile hanno migliorato queste varietà usandole, sappiamo a chi e come possono dare da mangiare, non permetteremo che conservare e scambiare i nostri semi diventi un reato». Gandhi ha anche detto che è solo se ci facciamo dominare da leggi ingiuste che le leggi ingiuste possono restare in vigore. Perciò la Carta per il Rinascimento agricolo che viene proposta qui contiene la decisione di non essere governati da leggi ingiuste. E ricordo che il Manifesto dei semi che abbiamo scritto insieme alla Commissione Internazionale sul futuro del cibo ha fatto sì che la Regione Toscana applicasse queste regole della libertà per il contadino di avere le proprie varietà e scambiarle liberamente.

Il secondo sistema col quale il piccolo contadino viene mandato a gambe all’aria o riempito di un numero insopportabile di regole è il falsissimo argomento della sicurezza alimentare. Eppure tutti gli attentati alla nostra sicurezza alimentare vengono dai processi industriali. I danni vengono dalle sostanze chimiche messe dalle industrie negli alimenti, dai pesticidi usati per coltivare a macchina le piante alimentari, dalle sostanze chimiche usate per trasformare gli alimenti e dalle condizioni in cui vengono allevati gli animali nei capannoni delle fabbriche. Ovviamente molti alimenti sono prodotti in processi industriali, dove migliaia di galline e migliaia di mucche sono tenute insieme in capannoni nelle condizioni ideali per lo svilupparsi di malattie. Flagelli come la mucca pazza e l’influenza aviaria sono stati generati dai processi industriali, ma queste leggi di falsa sicurezza non ne tengono conto e provocano due conseguenze. Per prima cosa impongono i parametri industriali sul singolo piccolo contadino per impedirgli di essere libero e perciò di essere vitale. E la seconda cosa che fanno è distruggere i piccoli contadini privilegiando questi parametri e rendendoli obbligatori per tutta l’agricoltura e la società.
Voglio fare solo due esempi. Nel 1998 l’industria della soia negli Stati Uniti decise di impadronirsi del mercato mondiale dell’olio alimentare, ma già all’epoca la maggior parte della soia coltivata negli USA era geneticamente manipolata. In India abbiamo degli oli meravigliosi, non abbiamo olio d’oliva ma abbiamo il nostro olio di senape, abbiamo l’olio di sesamo, l’olio di cocco e ogni cucina regionale decide liberamente l’olio da usare in base alle piante che si coltivano tradizionalmente nella zona. Così nel Kerala c’è l’olio di cocco, nell’India settentrionale l’olio di senape ecc. I gruppi di pressione legati all’industria della soia hanno manipolato la nostra situazione e sono riusciti a ottenere, da governanti e funzionari ai vari livelli, la messa al bando degli oli indiani non ottenuti industrialmente ma prodotti nei frantoi a freddo dei villaggi. Questi frantoi funzionano in certi casi con un solo animale e un contadino può portarci a frangere anche un quintale di semi appena. È l’olio più puro, sicuro e naturale che possa esistere. Porti i tuoi semi oleosi, le tue noci, il tuo cocco e tutto succede lì davanti ai tuoi occhi, e ti riprendi il tuo olio. Il frantoiano non può far altro, è suo interesse, che proteggere la sicurezza dell’olio anche perché si prende la sua percentuale. È un’economia senza denaro e i tuoi occhi comunque sono là a garantirne la sicurezza. Non c’è bisogno di polizia, di controlli esterni, perché le persone che vivono con te nei villaggi non saranno loro a consentire che si peggiori la qualità dell’olio. Ma sono riusciti a bandire questi oli. Allora ho cominciato un satyagraha, un movimento di disobbedienza civile. Ho chiamato il presidente del Consiglio dei Ministri a Delhi e gli ho detto: «Hai messo al bando i nostri oli tradizionali e i contadini dei villaggi sono in marcia; dicono che non possono mangiare cibi cotti con l’olio di soia. I nostri bambini non mangiano quella roba, vanno a letto con la fame, fai qualcosa». Siamo arrivati marciando a migliaia nelle vie di Delhi, abbiamo rovesciato la soia nelle strade e abbiamo avvisato che avremmo violato il bando e disobbedito ai divieti, avremmo prodotto l’olio più sano di tutti: l’olio di senape. «E voglio che tu riceva in dono la prima bottiglia». Il Primo ministro ha perso il posto ma l’olio si è salvato. La legge è ancora là sulla carta ma non può essere usata per minacciare la gente e costringerla a abbandonare le sue coltivazioni tradizionali.

L’altro caso lo si è visto in televisione tutti i giorni per diverso tempo: si tratta della folle gestione dell’influenza aviaria. L’influenza è cominciata nei capannoni degli allevamenti industriali di polli ma si sono visti regolarmente uomini vestiti di tute lunari scendere nei villaggi, arraffare le galline e macellarle: in Vietnam, in Tailandia, in Indonesia, in Birmania, in India, perché l’Asia è l’ultima riserva di galline che vivono libere. Le grandi società hanno usato la diffusione dell’influenza aviaria provocata da loro affinché, invece di chiudere gli allevamenti industriali di polli, venissero vietate le galline libere e fatti chiudere gli allevamenti all’aperto. Parlando di galline mi viene in mente una conversazione che ho avuto con un giovane amico tedesco nella quale ci siamo resi conto che i piccoli contadini in India sono come le galline in libertà, che sanno come tirar su i propri vermi, cosa mangiare, sanno vivere senza un capitale e senza una gabbia. E il piccolo coltivatore diretto europeo è come una gallina di un allevamento industriale a cui è stato fatto credere che la gabbia è l’unico posto dove si può stare. Ma adesso dobbiamo mettere insieme i movimenti, il nostro delle galline libere per evitare di esser spinte dentro le batterie industriali e il movimento di voi che siete stati in gabbia e volete venir fuori all’aperto, perciò il nostro luogo d’incontro è la porta dell’allevamento in batteria dove voi rifiutate di restare e noi rifiutiamo di entrare, così che insieme possiamo, uniti, riprenderci e difendere le nostre libertà.

La Carta per il Rinascimento delle libertà dei piccoli contadini che si presenta qui è molto importante per i contadini di tutto il mondo e vorrei trasformare questo in un dibattito globale in modo che, come abbiamo preparato un manifesto sul futuro del cibo e sul futuro dei semi, si prepari anche un manifesto sul futuro del piccolo contadino in quanto dichiarazione della nostra libertà e indipendenza. Questa dichiarazione è diventata un imperativo scientifico, una necessità per poter far arrivare il cibo alla gente, una necessità per proteggere il pianeta. La libertà del piccolo contadino non assomiglia alla libertà delle società monopolistiche multinazionali.
Le società si prendono la libertà allo scopo di inquinare, avvelenare, distruggere. Quando i piccoli contadini si prendono la libertà lo fanno per nutrire il mondo e questo diventerà sempre più importante nei prossimi anni.
La stessa industria che dieci anni fa tentò di costringerci a bere, mangiare e cucinare con il suo olio di soia geneticamente modificato, oggi trova più vantaggioso, a causa dei sussidi governativi, usare quell’olio come carburante per le macchine. Tutta questa nuova corsa alla produzione industriale di biocarburanti invece di alimenti dalle piante, ha fatto raddoppiare i prezzi del cibo. Secondo i miei calcoli non c’è abbastanza terra nel mondo per sostituire i carburanti fossili necessari a far funzionare il sistema industriale. Se il prezzo del cibo è raddoppiato in un anno è segno che non ci sarà da mangiare per la gente. Voi avete l’aumento della pasta, il Messico l’aumento delle tortillias, noi abbiamo l’aumento del chapati e del riso e i prezzi degli alimenti hanno superato le capacità di spesa del 60% dell’umanità. Quello che nessun governo è in grado di controllare è la rabbia della gente quando i prezzi degli alimenti non sono più alla sua portata. Perciò assisteremo a una crescente instabilità sociale e in questo contesto il piccolo contadino, le produzioni locali, la distribuzione su piccola scala a livello locale, la vendita diretta, sono la sola sicurezza futura, se non le ricostruiamo non ci sarà nessuna sicurezza alimentare. Ecco perché il piccolo contadino deve essere libero: affinché il resto della società possa essere liberato dal pericolo della fame. È per questa ragione che dobbiamo difendere con decisione i piccoli contadini e la loro libertà, proprio per i prezzi che, senza di loro, il pianeta sarebbe costretto a pagare, compresa la catastrofe climatica e il caos. Secondo le ricerche che ho fatto in occasione del nuovo manifesto sul futuro del cibo, in un periodo di cambiamento climatico, circa il 25% delle emissioni di gas serra che stanno cambiando il clima dipendono dal modo con cui vengono prodotti e distribuiti gli alimenti. Se lavoriamo in modo ecologico, con piccole aziende agricole locali, possiamo eliminare da un giorno all’altro il 25% delle emissioni. In questo impegno, coloro che si sono battuti dalla parte della terra, che hanno lavorato per il suolo, coloro che capiscono l’ecologia dei processi in agricoltura, troveranno nelle piccole realtà agricole e nella coltivazione ecologica il vero futuro del movimento ecologista.

Sfortunatamente molti amici dei nostri movimenti che lavorano seduti negli uffici, con le carte, costruendo le campagne di mobilitazione, improvvisamente sono nel panico per il cambiamento climatico. Ma da ora in poi sarà il movimento per i piccoli contadini la guida nell’indicare i veri obiettivi ecologici per cui operare. La passata generazione dei movimenti ecologisti è obsoleta per il nostro tempo, con le loro concezioni di una natura selvatica e senza gli esseri umani, non possono più essere liberanti, possono solo peggiorare la situazione. Perciò il movimento per i piccoli contadini è il solo movimento ecologista autentico e reale oggi nell’offrire soluzioni agli enormi problemi che abbiamo davanti.

La terza ragione per cui abbiamo bisogno di questo rinascimento dell’agricoltura fondato sul piccolo contadino è perché si tratta di un imperativo scientifico. Sono una scienziata e considero un abuso trattare nello stesso modo l’agricoltura chimica e quella biologica, l’industria degli affari della Carghill nei campi come l’agricoltura di un piccolo contadino. Le azioni sono diverse, i metodi sono diversi, e i prodotti che ne risultano sono diversi. L’unica cosa che la scienza esige è la capacità di distinguere fra cose diverse. Non è scienza quando cose diverse sono messe nella stessa scatola e trattate come un’unica cosa. Alimenti contaminati chimicamente, cibi che hanno viaggiato per migliaia di chilometri producendo enormi quantità di emissioni di ossido di carbonio non possono essere trattati come i cibi coltivati con cura e amore e distribuiti faccia a faccia nell’ambito dei rapporti umani di una comunità. Sono diversissimi nella loro condizione e sono diversissimi nelle loro qualità intrinseche.

Abbiamo bisogno di dare riconoscimento al buon cibo, abbiamo bisogno della libertà di evitare i cibi cattivi. Sono consapevole che tutta l’offensiva contro la buona agricoltura, e la buon agricoltura si basa necessariamente sul piccolo contadino, ha tre origini. Una è il paradigma industriale, il modo industriale di guardare al mondo, di vederlo come una macchina, cioè la visione meccanicistica; la seconda viene dal fatto che da tempo si è formata una discriminazione culturale contro coloro che producono il cibo, considerato il lavoro di minor valore e io penso che sia giunto il momento nell’evoluzione umana in cui questo lavoro deve cominciare ad essere considerato il più importante, la maniera più alta di vivere e servire la terra e la gente: si tratta di una questione culturale. E la terza origine viene dalle grandi società internazionali, solo avide, che manipolano i regolamenti e le leggi, e in totale consapevolezza snaturano il sistema della libertà economica per instaurare il loro monopolio. E noi dobbiamo affrontare tutte e tre questi motivi. Dobbiamo affrontare il paradigma industriale, meccanicista, dobbiamo affrontare l’esclusione culturale contro le aree agricole. E naturalmente dobbiamo affrontare le società monopolistiche, le loro bugie e le loro distorsioni della realtà. Se io potessi morire dopo che avremo riportato i contadini al centro del pensiero economico e al centro del rispetto sociale, avrei vissuto una vita degna di essere vissuta. E stando seduti in questa bellissima sala rinascimentale, con la frase «provando e riprovando» scritta qua sopra, non dimentichiamo che mentre le regole che hanno distrutto la terra e il suolo manifestano il proprio fallimento, abbiamo di nuovo bisogno del contadino, di ricostruire i nostri poderi, di provarci e riprovarci ancora senza mai stancarsi. Nella storia l’insaziabile avidità degli imperi ha distrutto la terra, ha distrutto l’economia agricola ed è stata il fondamento della loro rovina e poi di nuovo il suolo recupera e le comunità agricole rinascono. Così proviamo e proviamo di nuovo: è già successo, dobbiamo continuare a farlo, ma siamo in un momento unico della storia per dare inizio a questa chiamata, al Rinascimento agricolo nelle campagne.